Don Chisciotte in corte della duchessa (Pasquini), Vienna, van Ghelen, 1727

 ATTO SECONDO
 
 
 SCENA PRIMA
 
 IL DUCA, LA DUCHESSA, ALTISIDORA, DON ALVARO, DON CHISCIOTTE e SANCIO. Damigelle, che aspergono don Chisciotte con acque odorifere, e soldatesche schierate che gli presentano l’armi; strepito di trombe, timpani e tamburi, corni da caccia, eccetera
 
 CORO DI POPOLO
 
325   Viva, viva don Chisciotte,
 viva il fior d’ogni gagliardo,
 grand’onor di nostra età. (Don Chisciotte e Sancio, nello smontar da cavallo, cadono ambedue)
 
 PARTE DEL CORO
 
    Ecco il terribile
 campion fortissimo
330che mostri annichila,
 giganti stermina,
 schiere sminuzzola,
 per farsi merito
 con quante femmine
335il pregio vantano
 d’alta beltà.
 
 TUTTO IL POPOLO
 
    Viva, viva don Chisciotte,
 viva il fior d’ogni gagliardo,
 grand’onor di nostra età. (Don Chisciotte fa l’atto d’inginocchiarsi al duca ed alla duchessa)
 
 IL DUCA
340Non fia mai ver che un cavalier sì degno
 debba inchinarsi a noi.
 DON CHISCIOTTE
                                             Questa è la legge
 che Amadis già fondò. (S’inginocchia)
 LA DUCHESSA
                                            Sì, ma ti scusa
 l’accidental caduta,
 di cui molto mi duol. Sorgi.
 DON CHISCIOTTE
                                                    Se tratto
345m’avesse fino ai tenebrosi abissi,
 m’avrebbe tolto in quel medesimo istante
 l’avventurosa gloria
 d’aver veduto il tuo gentil sembiante.
 IL DUCA
 Ma in quest’età felice,
350che può contar per dea
 del bello Dulcinea,
 altra bellezza di lodar disdice.
 SANCIO
 È vero, sì signor, ma la natura
 è simile a un vasaro
355che, se fa un vaso veramente bello,
 può farne poco dopo in un momento
 de’ belli come quello più di cento.
 LA DUCHESSA
 Ingegnoso scudier!
 DON CHISCIOTTE
                                      Veda signora,
 Sancio ha buon fondo e sto per dir che forse
360alcuno mai de’ cavalieri erranti
 scudiero ugual sortì. Le sue parole
 talor son diamanti
 ma son peraltro ascosi
 in quella scabra, rozza, informe spoglia
365del natural macigno.
 LA DUCHESSA
 Noi molto ne godrem.
 IL DUCA
                                           Passiamo intanto
 ove, deposte l’armi
 per breve spazio, riposar con esse
 faccia, signor, tuoi bellici pensieri.
 DON CHISCIOTTE
370Si adempia il tuo volere, a cui mi prostro;
 ma in quanto al tor dell’armi,
 convien pensare avanti,
 se esempio abbiam tra i cavalieri erranti.
 
    Sì, l’abbiamo. Ricciardetto,
375senza usbergo e senza elmetto,
 nella corte pellegrina
 dell’amante Fiordispina
 qualche tempo dimorò;
 
    e mi par che ancor Ruggiero,
380benché fior d’ogni guerriero,
 le lasciasse la mattina
 che nell’isola d’Alcina
 l’ippogrifo lo balzò. (Partono)
 
 SCENA II
 
 ALTISIDORA e DON ALVARO
 
 DON ALVARO
 Per un momento sol, donna crudele,
385arresta il passo e un infelice ascolta.
 ALTISIDORA
 (Oh che noioso incontro! Or me ne scioglio).
 Don Alvaro, che dici
 di Laurindo mio? Presto rispondi?
 DON ALVARO
 Che quel titol di «tuo» nuovo mi giugne.
 ALTISIDORA
390Come! Un uom, qual tu sei, di tanto lume
 non ha capito ancor che un punto solo
 fu quello che mi vinse, allor che il vidi?
 DON ALVARO
 Tra speranza e timor stetti perplesso.
 ALTISIDORA
 Ma non ti par che veramente sia
395oggetto in tutto degno
 del più verace amor?
 DON ALVARO
                                         Merita il regno
 tutto dell’alma tua.
 ALTISIDORA
                                     Già n’è sicuro.
 Ma vedi con qual forza
 d’amor Laurindo adoro...
 DON ALVARO
400Ti sei scordata il «mio».
 ALTISIDORA
 L’error del labbro lo corresse il core.
 Or che di lui ragioni,
 mi par che in te risplenda
 un certo non so che, per cui mi piaci.
 DON ALVARO
405D’uopo sarà che a lui grazie ne renda.
 ALTISIDORA
 Faresti il tuo dover.
 DON ALVARO
                                       Quanto è felice
 il caro tuo Laurindo!
 Sta lungi e non vi pensa
 e nol sapendo ancor grazie dispensa.
 
410   Quando goder vorrò
 d’un raggio tuo seren,
 di lui ti parlerò
 né mi vedrai nel sen
 perdersi il core.
 
415   Senza cercar pietà
 solo ti mirerò
 e intrepido sarò
 nel mio dolore. (Nell’atto di partire, viene arrestato da Laurindo)
 
 SCENA III
 
 LAURINDO e detti
 
 LAURINDO
 Don Alvaro, t’arresta.
 DON ALVARO
                                          O questo è troppo.
420E non ti basta ancor d’avermi tolta
 dal cor la bella pace,
 senza voler questo trionfo vano
 ch’io mi distrugga al suon de’ tuoi sospiri?
 ALTISIDORA
 Laurindo, è crudeltà; dovria bastarti
425ch’ei ti cede il mio cor, benché ti ceda
 cosa che sua non fu giammai.
 LAURINDO
 Ti piaccia...
 ALTISIDORA
                        Egli già vede
 che amor forza non vuol, sa che t’adoro,
 sa che già mio tu sei.
 LAURINDO
                                         Ma la mia fede...
 ALTISIDORA
430È quella che già tengo e che giurata
 violar non si puote.
 LAURINDO
                                      (Oh dio, che pena!)
 DON ALVARO
 E questa è l’amistà di cui ti vanti?
 LAURINDO
 Il ciel...
 ALTISIDORA
                 Vede il tuo core
 né ti chiamar l’ira di lui; se puoi,
435nega per me di non sentire amore.
 
    Penso di già che, appena (A Laurindo)
 lungi sarò da te,
 negar vorrai la fé
 che il labbro tuo giurò.
 
440   Dirai che amor non senti;
 ma se cotanto ardisce, (A don Alvaro)
 tu digli che mentisce;
 poi digli che paventi
 l’ira del ciel che folle
445sopra di sé chiamò. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 LAURINDO e DON ALVARO
 
 DON ALVARO
 Negar nol so, Laurindo,
 sagra è per te la legge
 di fedele amistà.
 LAURINDO
                                  Vivi in inganno
 né mi conosci ancor.
 DON ALVARO
                                        Questo è ben vero;
450Altisidora col parlar confuso
 luogo al dubbio lasciò. Vivi nel posto
 che il suo favor ti dà; ma sappi intanto
 che don Alvaro un cor serba nel petto,
 cinto di tal virtù che ancora ingrato
455ti vuol esser cortese a tuo dispetto. (Parte)
 LAURINDO
 Laurindo, udisti? Cosa fai? Che pensi?
 Don Alvaro ti crede
 ingrato e mancator. La sua nemica,
 che il fier tumulto del suo cor ben vede,
460ti vanta suo trofeo;
 e la tua fé, come giurata fosse
 a danno dell’amico,
 per sicura la dà, mentre t’annoda
 col guardo feritor la lingua e i sensi.
465Laurindo, sogni? Cosa fai? Che pensi?
 
    Se libero il freno
 io lascio al mio core,
 quel bel che mi accende
 conquista lo rende
470del nume d’amore;
 e intanto all’amico
 divengo infedel.
 
    Se poi lo raffreno,
 la pena molesta
475fa nascer nel seno
 più fiera tempesta;
 e intanto a me stesso
 divengo crudel. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Sala con tavola apparecchiata.
 
 IL DUCA, LA DUCHESSA, ALTISIDORA, DON CHISCIOTTE e DORALBA che, non veduta da don Chisciotte, parla al duca
 
 DORALBA
 Signor...
 IL DUCA
                   Parti, Doralba.
480Tu ben sai quant’è d’uopo
 che don Chisciotte non ti veda.
 DORALBA
                                                          Ai tuoi
 cenni ubbidisco. (Parte)
 IL DUCA
                                  Come, Altisidora!
 De’ leoni al famoso cavaliero
 l’armi deporre non facesti ancora?
 ALTISIDORA
485Perduto il guardo nel di lui bel volto
 mi tolse un tal pensier.
 LA DUCHESSA
                                             Scusa dovuta
 corregga il gran delitto.
 DON CHISCIOTTE
 (Dulcinea, non temere; ho il cor guernito
 di scoglio adamantin).
 ALTISIDORA
                                            Signor, non vedi (S’inginocchia)
490che ai piedi tuoi per implorar perdono...
 DON CHISCIOTTE
 Oh dio! Sorgi, che fai? Troppo disdice
 a cavaliero errante
 (perdona, Dulcinea,
 parlo per complimento)
495l’idea del garbo e della gentilezza
 in un atto simil vedersi avante.
 IL DUCA
 Olà, paggi e donzelle
 servano il valoroso. (Vengono due paggi e due damigelle con baccili, ove sia una spada con sua banda ed un cappello per don Chisciotte)
 ALTISIDORA
 Dammi l’onor che il militare usbergo
500ti slacci di mia man.
 DON CHISCIOTTE
                                        Ferma.
 IL DUCA
                                                        È costume;
 né tu lo puoi sdegnar.
 DON CHISCIOTTE
                                          Sì, ma l’usbergo
 non son uso a deporre. Elmo e bracciali
 da per me stesso gli torrò. (Sovrana,
 incomparabil Dulcinea, se il fato
505mi contende l’onor che la tua destra
 porger mi possa aita, almen sei certa (In atto che si toglie l’elmo e i bracciali)
 che ammetter non vogl’io destra profana).
 LA DUCHESSA
 Una più lieve spada almen permetti
 ch’ella ti cinga.
 DON CHISCIOTTE
                              Purché un dì la possa
510maneggiare a tuo pro, di buona voglia
 a tant’onor consento.
 (Perdona, Dulcinea, l’è complimento).
 ALTISIDORA
 O quanto questa spada è meno acuta
 di quei pungenti dardi
515che in questo punto amore (Gli cinge la spada)
 mi vibra in sen coi tuoi sereni sguardi.
 DON CHISCIOTTE
 (Dulcinea, non rispondo;
 il complimento andrebbe troppo avanti).
 
 SCENA VI
 
 SANCIO, GRULLO e detti
 
 GRULLO
 Signor, la mensa è pronta. (Al duca)
 IL DUCA
                                                   Al grand’eroe
520si porga da lavar. (Le damigelle porgono da lavar a don Chisciotte)
 SANCIO
                                   Vosignoria
 si stropicci ben ben, signor padrone;
 le sue mani saranno quattro mesi
 che l’acqua non san dir che cosa sia.
 DON CHISCIOTTE
 Sancio, m’ascolta. Avverti (Nel tempo stesso si lava e si asciutta le mani)
525senno e prudenza. Lo scudiero sciocco
 fa più sciocco il padron; basta, m’intendi.
 Senno e poco parlar, Sancio da bene.
 Non infilzar proverbi, (Il duca, la duchessa e Altisidora si accostano intanto alla tavola)
 che per dire una cosa competente
530ne dichi cento poi delle scipite.
 Sancio, senno e prudenza tieni a mente.
 GRULLO
 Si aspetta sol vosignoria.
 DON CHISCIOTTE
                                                Son pronto. (Don Chisciotte corre precipitoso a tavola)
 IL DUCA
 Siedi, siedi, signor. Quello è il tuo loco.
 DON CHISCIOTTE
 A te piace così, saria delitto (Seggono tutti unitamente)
535se mi volessi oppor.
 SANCIO
                                       Signor padrone,
 mi dica un poco; gli scudieri erranti
 hanno luogo distinto per mangiare
 o pure in comunanza
 stanno a mangiar con tutta l’altra gente?
 DON CHISCIOTTE
540Sancio, senno e prudenza tieni a mente.
 LA DUCHESSA
 Quanto sarà felice
 il nostro Sancio, allora
 che il signor don Chisciotte
 averà conquistato un qualche regno.
 SANCIO
545Già m’ha promessa un’isola
 da governare a mia disposizione.
 IL DUCA
 Del tuo signore il merto
 or vedi quanto è raro;
 d’un’isola vacante che mi trovo,
550a sua contemplazione,
 governatore adesso ti dichiaro.
 DON CHISCIOTTE
 Mettiti, Sancio, inginocchion davanti
 al signor duca; e per sì gran favore
 baciagli i piè. Parla aggiustato, intendi?
555Pensa che infin tu sei governatore.
 SANCIO
 Signor, dice il proverbio (Sancio bacia i piedi al duca)
 che ha bene chi fa ben. Parlo in tal forma
 per non dir troppo e mal.
 DON CHISCIOTTE
                                                 Bravo.
 ALTISIDORA
                                                                Frattanto
 il nostro buon governator novello
560al pranzo potrà gir.
 LA DUCHESSA
                                      Vada e ben tosto
 sollecito ritorni.
 SANCIO
                                In due bocconi
 spedisco la faccenda. Con licenza.
 DON CHISCIOTTE
 Sancio governator, senno e prudenza. (Sancio e Grullo partono)
 IL DUCA
 Inver che un sì bel giorno
565con pietra bianca può segnarsi.
 ALTISIDORA
                                                           O quanto
 sarebbe più felice e più sereno,
 se Dulcinea la bella
 fosse presente ancor.
 DON CHISCIOTTE
                                         S’ella vi fosse,
 per me renunzierei
570l’ambrosia a Giove e il nettare agli dei.
 LA DUCHESSA
 Signor, di sua bellezza adombra in parte
 qualche più facil tratto.
 DON CHISCIOTTE
                                             A tanta impresa
 bastevol non son io.
 LA DUCHESSA
                                       Pur non dispero
 che un dì veder la possa.
 IL DUCA
575Non bramar ciò, ben mio, ti pentiresti
 del tropp’alto desire; e per vergogna
 al comparir di lei ti asconderesti.
 
    Vedesti mai le stelle
 fuggirsi vergognose,
580allor che gigli e rose
 s’intesse al crin l’aurora
 e il nuovo dì colora
 nello spuntar che fa?
 
    Tal quando in fra le belle
585comparirà quel volto
 che i raggi al sole ha tolto,
 ciascuna per vergogna
 tosto s’asconderà.
 
 ALTISIDORA
 Ma dimmi, cavalier, quando mandasti
590Sancio con un tuo foglio al tuo bel nume,
 m’è noto pur che tal beltà non vide?
 DON CHISCIOTTE
 Ma tu però non sai
 l’opra maligna de’ crudeli incanti.
 Anch’io son giorni che la vidi e pure
595tanto diversa la trovai che orrore
 or mi fa tra me stesso il rammentarlo.
 ALTISIDORA
 Come?
 DON CHISCIOTTE
                 Frestone incantator vigliacco,
 mio più crudel nemico,
 invidioso la sua faccia bella
600in orribil cambiò. Le trecce bionde,
 ch’erano fila d’oro,
 son corde da chitarra. Il grato odore
 che traspirava dal suo piè leggiero,
 cinto di bel coturno,
605e l’aure gareggianti
 lo raccogliean su l’ali
 per confortare i cavalieri erranti
 svenuti per amore,
 or s’è fatta una cosa sì fetente
610da far proprio venire un accidente.
 Non vi dirò delle regali spoglie
 di stelle trapuntate in campo azzurro,
 in bel gruppo raccolte al molle fianco
 davanti e sciolte maestose a tergo,
615ch’or son ridotte ad uso
 di vesti d’una succida villana,
 perché in asina nera convertita
 vidi perfino la sua bianca alfana.
 
 SCENA VII
 
 GRULLO e detti
 
 GRULLO
 Presto, signori, presto, al vicin bosco
620v’è un orso di statura gigantesca
 che manda fiamme dalla bocca; e gli urli
 che mette son sì fieri e spaventosi
 che si senton di qua. (Si alzano tutti dalla tavola)
 ALTISIDORA
                                         Che orrore.
 LA DUCHESSA
                                                                Oh dio.
 DON CHISCIOTTE
 Non temano, che questo
625è quel maligno mio persecutore.
 Oh se del mago Atlante
 avessi adesso l’incantato scudo
 o l’anel che Melissa
 fece torre a Brunel da Bradamante...
 IL DUCA
630Avea dell’Argalia
 la celebrata lancia;
 ma non è troppo che ne feci dono
 a un certo nuovo paladin di Francia.
 DON CHISCIOTTE
 
    Corpo di Florismarte,
635valeva almeno un regno;
 e in così duro impegno,
 se la tenevi appresso,
 facevi da te stesso,
 in quattro o cinque botte,
640quello che don Chisciotte
 con una or or farà.
 
    Vieni; starai da parte
 soltanto spettatore
 dell’alto mio valore;
645e a comparire e vincere
 vedrai come si fa. (Parte)
 
 IL DUCA
 Ti sieguo. (Partendo) Molto riderem. (Alla duchessa. Parte)
 LA DUCHESSA
                                                                      Se il fine
 al principio risponde, ho gran timore
 di potermi frenar. Si chiami Sancio
650e si appressin quei seggi.
 GRULLO
 Adesso. (Tira le sedie e parte)
 ALTISIDORA
                   È molto strana
 la di costui follia.
 LA DUCHESSA
                                  Ma non è nuova.
 Don Alvaro e Laurindo
 nel delicato lor vano puntiglio
655n’han qualche spezie anch’essi e tu lo sai,
 che ne sei la radice.
 ALTISIDORA
 Ambi son folli ed io sono infelice.
 LA DUCHESSA
 
    La benda agli occhi
 t’ha posta amore
660ed il tuo core
 penando va;
 
    ma ride il nume
 del tuo dolore,
 che senza lume
665stimi un rigore
 la sua pietà.
 
 SCENA VIII
 
 SANCIO e dette
 
 SANCIO
 Signora, eccomi qua.
 LA DUCHESSA
                                         Vieni, che teco
 ho ben che favellar.
 SANCIO
                                      Come volete.
 Se quell’orso gigante
670dà una scappata all’isola vacante,
 caro governo ce ne andiamo in fumo.
 LA DUCHESSA
 Siedi.
 SANCIO
               E via, non facciamo cirimonie.
 ALTISIDORA
 Ubbidisci.
 SANCIO
                       Ubbidisco. Si suol dire (Si pongono a sedere)
 che povertà non guasta gentilezza.
 LA DUCHESSA
675Or che siamo qui soli e niun ci sente,
 voglio che il mio signor governatore
 vari dubbi mi scioglia.
 SANCIO
                                            Volentieri.
 LA DUCHESSA
 La storia, che va attorno
 del signor don Chisciotte,
680dice che Sancio non ha mai veduta
 la bella Dulcinea.
 SANCIO
                                  Ma come c’entra
 questa storia a sapere i fatti altrui?
 ALTISIDORA
 Anzi dice di più che un certo foglio,
 ch’ebbe in Sierra Morena dal padrone
685per consegnarsi a lei,
 Sancio non lo portò, perché rimase
 nel libro di memorie.
 SANCIO
                                          Andiamo avanti.
 LA DUCHESSA
 Or come adunque egli ebbe tanto ardire
 di finger la risposta,
690ingannando il padrone, e mensognero
 tradir la fedeltà di buon scudiero?
 SANCIO
 Pazienza, adesso, adesso. (Osserva attorno la sala se alcuno l’ascolta)
 Già che siamo sicuri,
 risponderò con libertà; si dice:
695«Chi l’ha fatta si guardi; e buona cura
 caccia la ria ventura,
 che un disordin che nasca ne fa cento».
 Sappiate adunque in primo et antimonio
 ch’io penso, e penso il vero,
700che il signor don Chisciotte mio padrone,
 se ben talvolta dice
 dimolte cose buone,
 tanto abbia il poverello
 spedito per le poste il suo cervello.
 ALTISIDORA
705E di quel che lo serve cosa pensi?
 SANCIO
 Di grazia non saltiam di palo in frasca.
 Stabilito che sia matto spacciato,
 io gli fo creder cose
 che in sé stesse non han capo né coda,
710perché saran sei giorni,
 e questa cosa non la sa la storia,
 ch’io gli feci pigliar per Dulcinea
 una villana che incontrai per via;
 ed egli se la bevve e la credette
715convertita in villana per magia.
 LA DUCHESSA
 Per quel che tu m’hai detto,
 un scrupulo or mi vien. Se don Chisciotte
 privo è di senno e Sancio lo conosce
 e nonostante ancor lo serve e il siegue,
720senza dubbio di lui sarà più matto;
 e mal farebbe il mio signore adesso,
 se l’isola ti dasse a governare,
 quando non sai ben governar te stesso.
 SANCIO
 Perdinci, che lo scrupolo è venuto
725con parto dritto e qui non v’è risposta.
 Seguendo il mio padrone
 son più matto di lui, questo è verissimo;
 ma non saprei, non posso far di meno.
 Gli voglio troppo bene;
730siam d’un paese stesso,
 ho mangiato il suo pane,
 m’ha dato tre polledri; mi capite?
 Son tutte cose... Vo’ dir io che il miele
 si fa giusto leccar, perché l’è dolce.
735Circa il governo poi me ne rimetto;
 e se ben son balordo,
 io so che per suo male
 alla formica vil nacquero l’ale.
 LA DUCHESSA
 No, non temer, che il duca
740la promessa terrà; ma per tornare
 al discorso primier, son ben sicura
 che quel che si credeva ingannatore
 nell’inganno restò.
 SANCIO
                                     Ma come a dire?
 LA DUCHESSA
 Quella bifolca, che pigliar facesti
745al tuo caro signor per Dulcinea,
 era ella stessa; e per maligno incanto
 ancor tu la vedesti
 orrida in volto e in così rozzo ammanto.
 SANCIO
 O diavol maledetto! O questa è bella!
750Mi fai trasecolar!
 ALTISIDORA
                                  La cosa è certa.
 SANCIO
 Io lo credo d’avanzo. Questi maghi
 sanno far di gran cose; e pur da prima
 non ci credevo troppo, perché intende... (Incomincia a pigliar sonno)
 Ma come l’hai saputo?
 ALTISIDORA
755Lo stesso incantatore, or son due giorni,
 capitò nel castello e un pieno conto
 ci diè di tua follia.
 Ma non dormir.
 SANCIO
                                Sì... Eh?... Dite, v’ascolto.
 
 SCENA IX
 
 DONNA RODRIGUES e detti
 
 RODRIGUES
 E ben, signora, v’è risposta alcuna?
760Vorrei scrivere un verso a mia figliuola
 con qualche buona nuova. Ti rammenta
 che qui si tratta di promessa.
 LA DUCHESSA
                                                        Taci.
 Dipoi ci parleremo.
 SANCIO
 È vero. Incanti... Perché no... (Dormendo)
 ALTISIDORA
                                                        Signora,
765fa’ che Rodrigues venga
 dove a seder tu sei. Quando si sveglia
 costui n’avrem piacer.
 LA DUCHESSA
                                           Venga; soltanto
 nascose osserverem. Senti, Rodrigues,
 presso a quest’uom t’assidi
770finché si svegli; mentre
 son lungi, alcun de’ servi
 potrebbe fargli ingiuria ed io non voglio.
 RODRIGUES
 Son timori fallaci.
 LA DUCHESSA
 D’altro non cerca, m’ubbidisci e taci. (Partono la duchessa e Altisidora)
 RODRIGUES
775Questo vuol dir la corte;
 bisogna negar sempre
 tutto quel che si vuol; se avete un’ora
 di bene a vostro modo
 fra l’anno, avete molto.
 SANCIO
780Dite, dite, signora, che v’ascolto.
 RODRIGUES
 lo so che i cortigiani tutti quanti
 son macinati in un mulin da vento.
 SANCIO
 Non erano mulini, eran giganti.
 RODRIGUES
 Ma come! Una mia pari
785ha da servir per guardia ad un villano,
 che tal costui qui mi rassembra al volto?
 SANCIO
 Dite, dite, signora, che vi ascolto.
 RODRIGUES
 M’ascolti, villanaccio, e che ti pensi
 ch’io sia la tua buffona?
790Fuora di qui.
 SANCIO
                           Signora?
 RODRIGUES
 Fuora di qui, ti dico.
 SANCIO
                                        Ade... Ma come?
 RODRIGUES
 Questo qui non è luogo da birbanti.
 SANCIO
 O ancora dormo o questi sono incanti.
 RODRIGUES
 
    Fuora, ti dico, fuora.
 
 SANCIO
 
795Adesso, sì signora.
 
 RODRIGUES
 
    Adesso, presto, presto.
 
 SANCIO
 
 Ma diavol, son pur desto?
 
 RODRIGUES
 
    Presto, ti dico, avanti.
 
 SANCIO
 
 Ah, maledetti incanti.
 
800   Né manco a una duchessa
 la voglion perdonar.
 
 RODRIGUES
 
    Duchessa o non duchessa,
 il porco hai da pigliar.
 
    Vattene in buona pace,
805facciamola finita,
 che tu non la sai tutta.
 
 SANCIO
 
    Quanto me ne dispiace
 vederti convertita
 in una vecchia brutta.
 
 RODRIGUES
 
810   Presto, ti dico, avanti,
 ti costerà salata
 s’io l’ho da replicar.
 
 SANCIO
 
    Ah, maledetti incanti,
 né manco a una duchessa
815la voglion perdonar.
 
 Fine dell’atto secondo